Guerre contro Roma

Taranto strinse alleanza con Pirro, Re dell'Epiro, che inviò il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti e obbligò i Tarantini abili alle armi ad arruolarsi.

Gli scontri tra Epiroti e Romani furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane: la famosa Battaglia di Heraclea del 280 a.C., che vide protagonisti il console romano Publio Valerio Levino e lo stesso Pirro, costò 7.000 morti, 2.000 prigionieri e 15.000 feriti ai Romani e 4.000 morti più un gran numero di feriti tra i greci. I successi degli Epiroti erano legati alla presenza degli elefanti da guerra, animali tanto imponenti, quanto sconosciuti fino ad allora ai Romani.

La lega tarantino-epirota colse ancora un successo nella Battaglia di Ascoli Satriano del 279 a.C., ma, nonostante queste iniziali vittorie, Pirro, consapevole della potenza e dell'organizzazione dei suoi avversari e desideroso di crearsi un dominio personale in Italia, invece di risolvere il conflitto si spostò in Sicilia. I Romani, nel frattempo, si riorganizzarono e trovarono le contromisure alla presenza degli elefanti, per cui le sorti delle battaglie successive si spostarono sempre più a loro favore, tanto che Pirro non poté che stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia, a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto.

Tuttavia, Roma tornò ben presto in campo contro i popoli del Mezzogiorno e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia. Le sconfitte di Pirro furono questa volta decisive, tanto che, dopo la disfatta di Malevento si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto solo una piccola guarnigione comandata da Milone.

I Tarantini l'aiuto di una flotta cartaginese con lo scopo di liberarsi del presidio epirota. Per tutta risposta, Milone consegnò la città al console romano Lucio Papirio Cursore che così cadde in potere dei Romani, che nel 272 a.C. ne fecero smantellare le mura, imposero un tributo di guerra e sottrassero tutte le armi e le navi. Tutto ciò che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi oggetto di valore fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse in latino l'Odissea; il grande poeta Leonida, invece, riuscì a fuggire prima della capitolazione della città, ma da quel momento visse un'esistenza miserrima, morendo in esilio. Roma si astenne dall'infliggere a Taranto ulteriori punizioni e mise la città nel novero delle alleate, proibendole, però, di coniare moneta.

Durante la seconda guerra punica, in seguito all'esecuzione di due prigionieri tarantini, colpevoli di aver tentato la fuga, nella città roprese vigore un certo sentimenti antiromano. Attraverso il tradimento di due cittadini, favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riuscì nel 212 a.C. ad impadronirsi di Taranto e costrinse all'assedio i Romani, che non furono più in grado diusare la città come base logistica per le proprie truppe. Nel 209 a.C., il console romano Quinto Fabio Massimo si impadronì nuovamente di Taranto, questa volta grazie al tradimento di un ufficiale cartaginese. Nel 123 a.C. Gaio Gracco istituì una colonia nel territorio confiscato dallo stato romano. Dopo l'89 a.C., la comunità greca e la colonia romana confluirono in un'unica struttura amministrativa, il cosiddetto "municipium", segnando l'omologazione completa di Taranto nella Repubblica Romana.

Nell'occasione della stipula di uno storico patto tra Augusto e Marco Antonio nel 37 a.C., la città venne fornita di un acquedotto e di un anfiteatro. Il I secolo a.C. fu caratterizzato, nel complesso, da una sopravvivenza difficile e solo verso la sua fine si registrò una certa ripresa. La città mantenne un buon livello di vita urbana all'epoca di Traiano, durante il quale furono costruite le terme "Pentascinenses".